Cati compie 60 anni
Di Roby Noris
Caritas Ticino – CATI in sigla e mail - ha 60 anni e li porta bene, ma questo non ci esime dal farci una domanda serissima sul motivo della sua esistenza oggi e sulla sua ragione di esistere ancora negli anni a venire. Le condizioni infatti che ne hanno determinato la creazione nel ’42 – date un’occhiata all’excursus storico delle prossime pagine - non esistono più e la povertà materiale che ha richiesto il suo impegno negli anni successivi in Svizzera oggi non c’è più – almeno per ora -, con buona pace di tutti quegli operatori sociali o politici, o quei gruppi di volontari che portano avanti ad oltranza una romantica e anacronistica linea pauperista forse per paura di finire disoccupati.
A Caritas Ticino da anni continuiamo ad affermare che in Svizzera non c’è più quella povertà semplice, materiale, definita da mancanza di soldi per vivere; ma anche se il minimo vitale può essere garantito a tutti in Svizzera, come in quasi tutte le società avanzate, si può però essere emarginati, disperati, schiacciati, annichiliti e distrutti. Questi sono i nostri poveri che spesso oltre a vittime sono, senza saperlo, anche gli aguzzini di se stessi. Difficilissimo intervenire e modificare queste condizioni. Caritas Ticino ad esempio sul fronte della lotta alla disoccupazione pur avendo dato lavoro a migliaia di persone con il suo programma occupazionale in questi anni non ha certo inciso statisticamente su questo fenomeno che esprime più di altri la povertà in Ticino.
Qual’è il ruolo e il futuro di Caritas Ticino? Non certo quello di distribuire soldi, vestiti o derrate alimentari a destra e a manca, nonostante che la mediocrità stravincente faccia desiderare tanto una Caritas così anche in Ticino, più simpatica a tutti gli occhi in cerca di commozione e soprattutto meno scomoda.
Geek e Shrink per i prossimi 60 anni
Da vent’anni guardo a Caritas Ticino come a un’impresa che, pur vendendo idee e non prodotti mercantili, o si sviluppa all’interno di un concetto di Marketing del sociale o scomparirà. Mi piacciono quindi le considerazioni di alcuni economisti. Uno è Robert B. Reich professore a Harvard, segretario del dipartimento del lavoro con Clinton, che un bel giorno ha cambiato vita e ha scritto “The Future of Success” tradotto col più esplicito “L’infelicità del successo”. Parlando di innovazione commerciale individua due categorie strettamente interdipendenti che fanno la riuscita di un’azienda: della prima chiamata dei Geek fanno parte i creativi che inventano, creano, rielaborano idee e prodotti, della seconda chiamata dei Shrink fanno parte coloro che individuano i bisogni e i desideri latenti delle persone, le linee di tendenza. Il futuro di un’azienda sta nella capacità di disporre e utilizzare correttamente senza confondere i diversi ruoli dei Geek e degli Shrink. Siccome credo che il futuro di Caritas Ticino si misurerà sempre su due fronti, quello della sua capacità di leggere e anticipare la realtà sociale e i suoi bisogni, e quello della sua forza e indipendenza economica, non posso che parafrasare Reich dicendo che il futuro di Caritas Ticino dipende in buona parte dai Geek e Shrink che riuscirà a coinvolgere e con cui sarà presente nel mercato delle idee e nel mercato in senso stretto.
Vendere l’idea di una carità intelligente
Ma se le considerazioni di Reich sono forse un po’ ostiche, di ancor più difficile comprensione sono le splendide parole del Vescovo Eugenio Corecco pronunciate dieci anni fa per il cinquantesimo e diventate il manifesto di Caritas Ticino, che non ci stancheremo di citare un numero sì e uno no sulla nostra rivista come sul calendario 2002: “Caritas è chiamata con urgenza sempre più grande, ad esprimere due valori specifici del cristianesimo, la cui rilevanza sociale non è misurabile con criteri puramente razionali. Il primo è la gratuità verso l’uomo in difficoltà, poiché è stata gratuita anche la redenzione offertaci da Cristo. Il secondo è quello dell’eccedenza, poiché è eccedente l’amore di Cristo verso di noi. La carità non ha come misura il bisogno dell’altro, ma la ricchezza dell’amore di Dio. È infatti limitante guardare all’uomo e valutarlo a partire dal suo bisogno, poiché l’uomo è più del suo bisogno.”
Non so quanti anni ancora dovremo lavorare per comprendere fino in fondo queste parole, ma il Vescovo Corecco, alla faccia del giornalismo (?) di un mediocre foglietto sedicente cattolico che qualche lettore ticinese ha per le mani in questi giorni, ha tracciato il solco per poter costruire una comunità viva e di conseguenza una Caritas come espressione propositiva e pedagogica della dimensione della carità evangelica. Caritas Ticino potrebbe continuare ancora altri 60 anni, e poi 60 ancora a promuovere con mezzi professionali una cultura della carità, cioè forme di solidarietà intelligente che ogni comunità dovrebbe sviluppare al suo interno come occasione di maturazione e di crescita nella fede. Ma come dice l’economista de “L’infelicità del successo” riguardo a una possibile società più equilibrata: “La domanda è: lo vogliamo?”